02
May
2023
Tempo di lettura:
5 minuti
John Ruskin
Nel libro Absolute Beginners, l’architetto Iñaki Ábalos suggerisce che il monastero rappresenti il primo uso misto nell’architettura, un luogo dove tutte le funzioni del vivere – le celle per dormire, l’orto, la chiesa, la preghiera, il lavoro, ecc. – sono mescolate nello stesso organismo.
Oggi quest’idea di mixité sta prendendo il sopravvento anche nell’albergo, intorno al suo “core” – la camera – e anche al suo interno. Ne abbiamo parlato con Paolo Facchini, Presidente di Lombardini22: una libera conversazione sui modelli evolutivi di un settore in cui una pluralità di usi e soprattutto di servizi – perché “dove c’è servizio c’è ospitalità” – si sta sempre più mescolando con le funzioni primarie, e che quando ben congegnata crea insiemi complessi e ricchi d’esperienza, e genera narrazioni. Mettiamo allora l’Hospitality sotto la lente del mixed use: in che modo sta andando oltre la stanza?
Buona lettura!
Adolfo
Cos’è il mixed use oggi, dal punto di vista dell’Hospitality?
Se c’è un settore che, per definizione, trattiene all’interno del proprio involucro più funzioni, questo è certamente l’ospitalità. Oltre a quella classica del pernottamento fuori casa, abbiamo sempre attività di ristorazione, bar, incontro nelle hall comuni, possiamo disporre di spazi per il lavoro e sempre più abbiamo luoghi dedicati al benessere personale, spa, piscine, trattamenti per la cura del corpo e così via. Tutto ciò si differenzia in funzione delle diverse tipologie d’albergo, della posizione e del target al quale si rivolge, e di conseguenza si possono avere varie combinazioni d’uso dello spazio e delle sue funzioni. Giusto lo scorso anno, per esempio, uno sviluppatore ci propose l’idea di trasformare alcuni alberghi 4 stelle in Liguria affinché potessero ospitare manager e dipendenti di società multinazionali anche con le proprie famiglie, per periodi prolungati, unendo così lavoro e vacanza.
Come si inserisce il retail in questo mix?
Questa mescolanza si riflette anche sulla parte retail dell’albergo. Spesso è un retail tematico, ritagliato su clienti specifici, penso ad alcuni alberghi in Portogallo frequentati prevalentemente da una clientela golfistica, con negozi dedicati e serviti da voli charter. Al di là di questi casi particolari, sappiamo che ogni Hotel ha sempre piccoli negozi al proprio interno, tuttavia il retail non è mai la sua parte principale. Diverso è il caso di alberghi edificati in prossimità del retail come facility di supporto, Orio al Serio è un esempio classico, nodo di shopping internazionale servito da voli low cost, e allora abbiamo un’ospitalità al servizio del retail.
In quel caso il mixed use è dato dall’accostamento di edifici diversi “monofunzionali” (albergo, shopping center ecc.) che condividono un contesto creando un nodo infrastrutturale, suburbano. Come si sta bilanciando il mixed use nel singolo edificio urbano?
Intanto estenderei quest’idea non solo all’edificio ma anche alle strutture all’aria aperta, penso ai campeggi come parte di più complessi villaggi turistici – talvolta vere e proprie piccole città con ristoranti, supermercati, addirittura gioiellerie – che ci fanno capire come il mixed use è il luogo in cui tutto ciò di cui si può aver bisogno è compresente. Il tema generale, anche nel singolo edificio, è far vivere un’esperienza più completa.
Nel libro Absolute Beginners, Iñaki Ábalos suggerisce che il monastero rappresenti il primo uso misto nell’architettura, dove tutte le funzioni del vivere (le celle perdormire, l’orto, la chiesa e dunque la preghiera, il lavoro ecc.) sono mescolate nello stesso organismo. Oggi questa mixité di servizi sta prendendo il sopravvento anche nell’albergo: aprire il piano terra alla città, riempire iltipico “vuoto” delle lobby… Come stanno cambiando le funzioni ausiliarie, qual è il trend di questo incremento del contorno?
Dal punto di vista economico, tutte queste funzioni “altre” tendono a bilanciare la redditività della funzione alberghiera primaria. Le spa, i convegni, le aste, arrivano anche a pareggiarne il peso. Alcuni alberghi stanno trasformando le stanze in uffici, soprattutto ai piani bassi, rendendole convertibili… Ripeto, si tratta di arricchire e diversificare l’esperienza, in modo che le diverse componenti si alimentino reciprocamente. In alcuni casi si può anche invertire il rapporto tra ciò che è primario e ausiliario, costruendo ospitalità intorno a una narrazione esperienziale: penso a certe dimore storiche, già di per sé grandi attrattori, che potenziano funzioni alberghiere intorno a una proposta d’esperienza totale, e che infatti si promuovono con frasi del tipo “Immergersi all’interno di un racconto”.
Dunque usare l’esperienza come motivazione per andare in albergo?
È sicuramente una leva. Pensiamo ad alcuni luoghi termali, che offrono percorsi benessere che durano anche diverse ore. È naturale unire a quell’esperienza la ristorazione, prima, e di conseguenza il soggiorno alberghiero, e nell’insieme prolungare il piacere.
Dal punto di vista del business plan, che percentuale di redditività generano le camere rispetto all’esperienza?
L’orizzonte cui si vorrebbe tendere è il 50%. È una prospettiva ideale, ma se pensiamo che attualmente, in una città come Milano per esempio, le camere hanno un tasso di occupazione del l’80/90% (e quindi una vacancy molto bassa), incrementando il fattore esperienza il margine di crescita potenziale è davvero interessante.
Funziona anche per i Business Hotel?
Anche nei Business Hotel c’è necessità di incontro, di prolungare i tempi e le occasioni di relazione.
E per altre tipologie d’albergo, Boutique Hotel, ostelli?
Gli ostelli hanno goduto negli ultimi anni di un cambiamento di percezione grazie a casi noti che hanno fatto maggiori investimenti nelle aree pubbliche, aprendo il piano terra ad eventi, concerti, diventando punti di riferimento nell’immaginario urbano. Nei Boutique Hotel c’è invece un fondamentale tema di target: una clientela disposta a spendere molto per un servizio davvero speciale. Solitamente sono anche in posizioni eccezionali, ma è il servizio che fa la differenza, l’estrema attenzione al cliente. Che si traduce anche nel rapporto tra personale di servizio e numero di stanze (che nei Boutique Hotel sono normalmente poche).
Il microliving rientra nell’ospitalità?
Forse, non ne siamo ancora venuti a capo. Però rappresenta quella via di mezzo (e forse è proprio quello il mixed use) in cui occupi un appartamento e hai dei servizi. La differenza è lì: nel momento in cui ho servizio ho anche ospitalità. Non so esattamente quale sia il confine, ma è comunque un indicatore fondamentale.
Quindi più servizio, più ospitalità… Tuttavia un altro tema è non essere sovrastati dal servizio. O meglio, non vederlo. Come sta cambiando il concetto di servizio? E di lusso?
Il servizio non è la presenza fisica di una persona, ma la disponibilità di qualcosa che soddisfa un’esigenza quando si presenta. Ed è variabile in funzione del contesto e delle aspettative ad esso collegate. È una componente del mix, tra cui il prezzo che si paga.
Anche la sostenibilità è una componente? Il mixed use la favorisce o è indifferente?
È una componente imperativa di cui non possiamo fare a meno. Non è un layer che si può o non si può applicare, ma una condizione imprescindibile. Ed è un acceleratore di cui il mixed use può essere lo strumento. Di fatto il concetto di mixed use è sempre esistito. Ma se lo leggiamo – parafrasando Salvador Rueda sulla città – come quoziente tra quantità di attività, quantità di persone e consumo di energia in una data unità di spazio, se ben applicato in termini di consumi ed economie di scala (energetica), è già in sé una forma di efficientamento e quindi strutturalmente sostenibile.
Paolo Facchini
Grande rigore professionale, e gran belle bretelle. Ingegnere, brand ambassador e amante della buona tavola, Paolo ama immaginare il futuro e cucinare per gli amici.
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