25
January
2022
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3 minuti
Jonathan Glancey
Così Jonathan Glancey, critico e scrittore di architettura, descrive lo straordinario impatto sociale e culturale dei Department Store e ricorda l’esempio di Selfridge che ha fatto molto per rendere il grande magazzino una destinazione piuttosto che solo un grande negozio di città completamente fornito.
La seconda colazione con paneburro, newsletter di L22 Retail, parte proprio da una riflessione sui Grandi Magazzini come “prima formula dello shopping contemporaneo” e di come questi rappresentino un’efficace istantanea delle tendenze di cambiamento del settore Retail. Un buon motivo per farsi promotori di cambiamento, reinventarsi con lungimiranza, aggiornando la visione di Gordon Selfridge di un secolo fa.
Con Irma, autrice di questo articolo, ripartiamo proprio da qui per estendere lo sguardo verso nuove possibilità. Con Margherita, nel prossimo, lo sguardo sarà sulla creatività (nel BIM).
Buona lettura!
Adolfo
PS:
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Il più piccolo department store eil più grande concept store del mondo.
Un claim semplice ma di sicuro effetto ha accompagnato la riapertura dello storico Grande Magazzino parigino ‘La Samaritaine’. Eléonore de Boysson, presidente DFS Group, al tempo stesso ha così inteso esprimerne la filosofia commerciale innovativa e contestualmente ha acceso un riflettore sulla necessità di un pensiero laterale rispetto ai criteri dimensionali degli spazi retail tradizionali, di nuove formule che rigenerino modelli consolidati in termini di dinamismo e appeal.
E soprattutto, di leggerezza. Che, perché non diventi frivolezza, si associa con la precisione e la determinazione. Che ci induce a cercare un nuovo tag cloud di riferimento che il tempo e il dibattito possano sviluppare e arricchire.
Partiamo allora dal concetto di minimo.
I piccoli flagship store, opportunamente posizionati, sono contraddistinti da una redditività di gran lunga superiore a punti vendita con più ampie superfici ma che non vantano la stessa efficacia in quanto a rappresentatività e customer experience. E viene allora spontaneo considerare in parallelo il caso dei pop-up store, piccole realtà commerciali con locazione temporanea, che estremizzano l’idea dei flagship in quanto a valorizzazione del brand portando in sé delle ulteriori variabili: il fattore tempo e l’hype caratteristico di un evento.
Trattare in maniera flessibile gli spazi commerciali, come nei pop-up accade, implica la possibilità di testare il successo di un brand non affermato e la relativa risposta su mercati specifici. Sulla stessa falsariga, il successo di piattaforme come Appear Here, che aggrega brand, designer e imprenditori a spazi commerciali temporanei di ogni tipo delinea una tendenza e una necessità che non può essere ignorata. O ancora, la galassia F&B sperimenta della ristorazione tra Ghost Kitchens, Dark Kitchens e Cloud Kitchens e stanno sviluppando una propria interpretazione di queste tendenze, con modelli sempre più duttili e sperimentali che inequivocabilmente indicano una possibile direzione.
Implementare e razionalizzare l’idea di flessibilità, infine, conduce all’opportunità di criteri modulari di disegno dello spazio. Logiche di definizione per moduli sono attuabili all’interno dello store, che richiede una costante revisione che assecondi le esigenze del momento, sia nel rapporto tra spazio di vendita e magazzino, sia nella compartimentazione dello spazio di vendita stesso tra aree espositive tradizionali e spazi innovativi, destinati al click and collect o formule modalità ibride.
Ma al tempo stesso sono applicabili anche alla ricerca di equilibri di reciprocità non scontati tra punti vendita contigui e ad una una visione plastica dei limiti tradizionalmente imposti.
Quanto queste keywords delineano non è che l’inizio di un tracciato che, sulla scorta dell’esperienza consolidata, possa svilupparsi lungo percorsi ancora inesplorati.
Irma Lupica
Architetto e Interior Designer. Appassionata di Storytelling, di viaggi nello Spazio e degli anni Sessanta. Adoro lo Sport, purché non mi si chieda di praticarlo.
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